Silvia Dai Pra', Senza salutare nessuno; un ritorno in Istria, Bari-Roma, Laterza, 2019.
Un po' memoir, un po' reportage, un po' storia familiare il libro di Silvia Dai Pra' è un viaggio realistico, un ritorno in Istria, aspro come lo sono le pietraie del Carso, ma leggero come la brezza del mattino che illumina le cose nascoste dalla nebbia.
Perché nonna Iole se n'era scappata dall'Istria e perché non voleva sentire parlare di titini e Jugoslavia e perché quello strano buon viaggio, "non mi salutare nessuno", quando la protagonista decide di andare in Istria?
L'infame e opportunistica politica democristiana e comunista aveva coperto ogni traccia di ciò che era avvenuto in Istria e in Dalmazia alla fine del secondo conflitto mondiale; del resto una ragazza - come l'autrice del racconto - cresciuta nelle sezioni del Pci a pane e fandonie dell'Anpi che ne poteva sapere delle foibe, parola pressoché sconosciuta se non fosse per quella scritta a pennarello su una sedia di legno "Una, dieci, cento foibe"?
Ma un paio di foto del bisnonno - di lui non è rimasto altro - "commerciante infoibato a Vines il 5 ottobre 1943" mettono in moto un percorso di ricerca attraverso archivi, biblioteche, mail che non ricevono risposta, silenzi e pianti nascosti della nonna. Così l'autrice, ripercorrendo i viottoli e attraversando le strade polverose dei paesini istriani, scopre che "tutto ciò che poteva trasformarsi in memoria andava, negli anni, con regolarità distrutto", i monumenti e le targhe ricordo ai "gloriosi partigiani" di Tito hanno definitivamente coperto la storia degli italiani d'Istria. Ma qualcuno ancora ricorda le violenze gratuite contro le donne sole, perché i mariti o i fidanzati erano in guerra, perpetrate dalla banda dei partigiani comandati da Mate Stemberga, e le deportazioni di notte, lungo i boschi, per finire ai margini di una foiba legati a due a due col filo di ferro e "il fortunato era quello che si prendeva subito la pallottola in testa. L'altro cadeva insieme a lui, giù, nella foiba, e aspettava che arrivasse la morte".
Poi l'arrivo alla foiba di Vines: non c'è un monumento, la vegetazione copre tutto: "Foglie che sono ricresciute così violente da cancellare ogni traccia di una storia che, nell'avanzare degli orrori futuri e del tempo, verrà a sua volta inghiottita dal nulla".
Ancora oggi i gendarmi della memoria vorrebbero cancellare le tracce di stragi e assassinii, spesso compiute per vendette personali, per interessi e ruberie ai danni degli italiani; ma poi la memoria riaffiora, come nel racconto di Silvia, a illuminare pagine di storia familiare e di storia patria che, per fortuna, non tutti hanno dimenticato.