Giampaolo Pansa, La repubblichina. Memorie di una ragazza fascista, Milano, Rizzoli, 2018.
A Giampaolo Pansa va riconosciuto l’indiscusso merito di aver scandagliato, fra i primi, il mondo dei vinti al termine della guerra civile italiana. Il mondo di tutti quegli italiani che, dopo il 25 luglio 1943, non si sono arresi e non hanno cambiato bandiera per salire sul carro dei vincitori. Un arcipelago vasto che solo il giornalista Giorgio Pisanó aveva anticipato con i suoi articoli e i suoi saggi che, per primi, hanno smascherato i crimini e le nefandezze della cosiddetta “resistenza”.
La repubblichina è il racconto, in prima persona, della maestra di scuola elementare Teresa Bianchi, detta Tere, rapata nella pubblica piazza del Cavallo, nel centro di Casale Monferrato, e poi epurata per aver aderito alla Repubblica Sociale di Mussolini. La sua vicenda personale rappresenta una storia comune in molte città del nord, tra il 1943 e il 1945, con il suo carico di vendette e di delitti rimasti impuniti.
Il ripetuto richiamo alle vicissitudini amorose e sessuali della giovane maestra appesantiscono un po’ il ritmo del racconto; il miglior Pansa resta quello – asciutto e tagliente – che descrive senza reticenze gli innumerevoli crimini di cui si macchiarono i partigiani comunisti. Così come gli angloamericani quando, il 20 ottobre 1944, lanciarono una bomba a casaccio a Gorla, alla periferia di Milano, uccidendo i 184 bambini, gli insegnanti, la direttrice e i bidelli della scuola elementare “Francesco Crispi”.
Più volte Pansa sottolinea con quanta disinvoltura gli italiani passarono, da un giorno all’altro, dal culto del duce all’osanna per i nuovi vincitori; così come nello sterminio degli ebrei tanti “hanno fatto finta che non fosse accaduto niente”.
Tra un abbraccio e un innamoramento di Tere emerge anche il racconto delle faide interne ai diversi gruppi partigiani, alle rese di conti tra bande che si erano contraddistinte, più che per la guerriglia ai fascisti e ai nazisti, “per le razzie compiute a danno di civili benestanti” e per meschine vendette personali.
Nel complesso un affresco, a volte colorito ma molto aderente alla realtà quotidiana della Casale e dell’Italia del tempo: una visione “dal basso”, dal microcosmo di una maestra elementare supplente che attraversa, spesso inconsapevolmente, le pagine più tragiche della recente storia italiana.